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Voci dal mattatoio. Pensieri sulla prigionia

  • Di Mattia Biancucci
  • 12 giu 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

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Quante volte ci si è passati davanti? Quante volte un occhio è caduto distrattamente tra quelle grigie ed anonime mura? Grigie, come le anime di chi la violenza l’ha istutuzionalizzata, di coloro che giornalmente avallano delle perverse logiche di dominio e sfruttamento. Anonime, come il volto di chi lì dentro è entrato per non uscirne più intero, abbandonando quegli edifici impacchettato tra il cellophane ed il polistirolo. Un’anonimità, quella dei mattatoi, che perfora i timpani di coloro i quali hanno deciso di gettare gli occhi – oltre che il cuore – al di là di di quelle mura. Ed è così che, a cadenza mensile in alcune città del Bel Paese, Essi si riuniscono là fuori tra cartelloni, striscioni e volantini, cercando di colpire al cuore la quotidinità. Quella routine che è riuscita ad assottigliare, appiattire ed assopire la curiosità dell’uomo. La voglia di conoscere i retroscena di ciò che sembra così scontato. Scontato come quel pezzo di carne che passa in secondo piano nell’ansia spasmodica da 3x2.

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Spesso si accusano gli animalisti (che brutto termine!) di antropomorfizzare gli animali, di dar loro delle sembianze umane, troppo umane, sottointendendo quasi che ci sia un abisso tra Noi e Loro. Ebbene quell’abisso ci ha portato a non renderci conto che sebbene ci siano delle differenze, persistono anche delle comunanze, delle somiglianze tanto nella forma quanto nella sostanza, o meglio nella sorte. Troppo spesso, infatti, ci si dimentica della nostra animalità, del nostro essere di fatto anima-li. Proprio la parola anima sembra essere la chiave di volta per comprendere queste comunanze. Un termine la cui etimologia è riconducibile al latino, animus, con il significato di soffio vitale, concetto che rimanda alla parola greca, ἄνεμος, vento. L'anima è quel principio presente in tutti gli esseri viventi, talmente ineffabile che gli antichi non seppero indicarla se non ricorrendo all'idea del vento, la cui presenza non essendo visibile è provata dagli effetti che provoca e non dalla diretta percezione di essa. Rudolf Steiner, nella sua opera “Teosofia”, distingueva tre componenti – corpo, spirito ed anima – fondamentali per l’uomo. Sorvolando - ma non sottointendendo - sulle prime due componenti, l'anima è l’elemento tramite il quale l'entità umana ricava impressioni dalle esperienze che fa attraverso il corpo. Ognuno di noi vede, sente, tocca, annusa e assapora, e da queste esperienze ricava impressioni che possono essere di piacere o dolore, gioia o disperazione, attrazione o repulsione. Attraverso l'anima, le cose che percepiamo con i sensi corporei acquistano per noi un significato, una rilevanza. L'anima valuta le esperienze e gli oggetti percepiti dal corpo in base a ciò che quelle esperienze e quegli oggetti determinano come impressione. Una cosa che imprime un sentimento di piacere, di gioia o di attrazione avrà per noi una certa valenza, un'altra cosa che imprime un sentimento di dolore, disperazione o repulsione ne avrà un’altra completamente diversa. La stessa sorte sembra rivivere nell’esperienza degli animali non-umani. Infatti dall’insegnamento di Steiner è possibile dedurre che anche quest’ultimi siano dotati di un’anima attraverso la quale è possibile valutare esperienze e determinare impressioni a posteriori. Osservando i comportamenti di un cane, uno tra gli animali più cari all’uomo, è possibile comprendere quest’ottica. Un’esperienze traumatica, come quella dell’abbandono, sembra essere impressa in maniera indelebile in questo essere vivente. Attraverso l’anima, infatti, gli animali non-umani analizzano le esperienze avvertite dal corpo determinandone un’impressione. Le somiglianze, però, non sono riducibili al semplice concetto di anima. Come si accennava in precedenza, Noi umani, condividiamo una sorte comune a quella di coloro i quali ci sembrano così distanti. Osservando criticamente i mattatoi, possiamo notare in essi il riflesso della nostra società grassa, fastosa ed opulenta. Una società di cui il 98% di noi è vittima incosciente. Esiste, infatti, un 2% a cui molti guardano con l’acquolina in bocca, in quanto solo loro possono assaggiare il prelibato manicaretto del progresso. Una torta a cui tutti partecipiamo nella preparazione, idealizzandone l’aroma, assaporandone gli ingredienti ma che nel momento del taglio e della distribuzione rimaniamo all’angolino, con la bocca asciutta ed una fame da lupi. Una contraddizione che si riflette nelle slaughterhouse (le case del massacro, i mattatoi), in cui una moltitudine tiene sotto scacco una minoranza tramite un inganno. L’imbroglio che ci sia una vita dopo la segregazione. Viviamo tutti in un mattatoio. Siamo tutti 269, carne da macello. Moriamo giorno per giorno.

 
 
 

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