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Globalcriticismo

 

Il “cinese” è stato per lungo tempo nell'immaginario filosofico l'emblema della distanza insormontabile, talmente grande da permetterci di sorvolare e non pensare. Su questo assioma si innesca la “metafora del mandarino cinese”, ovvero la possibilità di poter possedere ricchezze illimitate in cambio della morte di un uomo in Cina inteso, in questo caso, come un individuo talmente lontano da noi da garantirci l’immunità. Proprio tramite questa metafora il prof. Fusaro ci offre l’immagine dell’odierna globalizzazione: mettere a morte un qualcuno dall’altra parte del globo, in cambio di una ricchezza più o meno illimitata ed in contrappasso essere uccisi dallo stesso processo. “Invasione globale della forma merce”, continua criticamente il giovane filosofo riguardo il processo di globalizzazione.
Seppur nell’immaginario comune questo termine evochi un’immagine idilliaca di superamento dei confini politici in nome di una solidarietà globale, di fatto è una reductio ad unum nel nome dell’americanizzazione.
Attualmente, infatti, con questo termine così pudico quanto ipocrita, si definisce questa nuova fase della colonizzazione, in cui al posto delle armi troviamo dei marchi tanto sfavillanti da farli sembrare innocui.
Un’invasione che non si fa breccia solo tramite i loghi delle corporations, ma sempre più spesso nel nome dei diritti umani, legittimando invasioni militari che altro non sono che guerre imperialistiche per esportare il pensiero unico.

Comunitarismo

Nato come risposta all’ideologia liberalista, che distingue nettamente i legami sociali da quelli naturali, il pensiero comunitarista recupera l’idea premoderna di politica, dove la formazione dell’io individuale è in stretta relazione col benessere della comunità. In questo senso, ciò che viene rigenerato è l’ideale di “bene comune”, subordinato, nelle società liberiste, ai veri “beni” individuali. Il singolo, infatti, viene considerato non come un atomo sparso nel mondo, ma come una parte di un Tutto organico. Inoltre, mentre il liberalismo è un approccio universalistico, determinato ad affermare i propri valori in tutto il globo, volontà fondamentale del comunitarismo è quella di preservare le differenze culturali, considerate come valore positivo per l’umanità. Citando Alain de Benoist: "all’ideologia dell’Identico bisogna infine contrapporre il principio di diversità. Un principio trae forza dalla sua stessa evidenza. La diversità del mondo costituisce la sua unica e vera ricchezza, essendo essa artefice del bene più prezioso: l’identità.” Troppo spesso, tuttavia, tale teoria viene considerata, sia dai suoi sostenitori che dai suoi detrattori, fissista e reazionaria. Al contrario, noi vogliamo portarne avanti una variante dinamica e rivoluzionaria, capace, al tempo stesso, di attingere dal passato e di guardare al futuro.

Democrazia Partecipativa

Benjamin Constant, nel suo celebre discorso del 1819, “Sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni”, ha individuato, tra le società del passato e le società moderne, un mutamento essenziale della parola “libertà”: se per un antico essere libero significava partecipare attivamente alla politica, per un moderno è totalmente l’opposto. Mentre l’antico trovava la sua realizzazione nella vita pubblica, ai tempi di Constant ed ancor di più oggi, gli uomini ricercano i loro fini unicamente nel loro spazio privato, dimenticandosi, il più delle volte, di essere animali sociali. Ecco allora la nascita della società dell’io, del consumo e della materia, l’avvento della modernità più fredda, dove l’uomo diviene atomo e la società si disgrega. In questo scenario, si colloca perfettamente la previsione di Alexis De Tocqueville: “vedo una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo”. Ciò che noi sosteniamo, seppur consci delle differenze tra le società del passato e quelle odierne, è una concezione attiva della politica. L’uomo è, infatti, per natura un essere sociale ed anche, se non soprattutto, nel XXI secolo, è chiamato ad azioni politiche in ogni momento della sua vita, come ad esempio fare la spesa e scegliere dove e cosa mangiare. Per questo, il gesto politico non risiede (solamente) nel voto, ma accompagna l’essere umano ovunque nel rapporto, consapevole o inconsapevole, che intrattiene con gli 
altri, umani e non.

Ecologia Profonda

Generalmente, quando si parla di ecologia, si fa riferimento ad una serie di misure parziali a tutela dell’ambiente nel quale l’uomo vive. In questo senso, la tutela della Natura, se e quando avviene, è finalizzata al benessere dell’umanità. La Terra non viene considerata come un essere vivente, ma come la “casa”, inanimata e materiale, dell’essere umano. Come superamento di questo approccio “superficiale” del rapporto che intercorre tra noi e l’ambiente naturale, ci rifacciamo a quella corrente che il filosofo norvegese Arne Naess, nel 1973, ha definito “Ecologia profonda”. Questa teoria, seppur sviluppata recentemente, è stata incarnata inconsapevolmente da molte società del passato (definite “tradizionali”) ed è sostenuta da teorici di diverse discipline anche nel presente. Così si è espresso il fisico Fritjof Capra: “L’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico”. Il cambiamento di paradigma è evidente: qui ci troviamo dinnanzi ad una visione olistica, organica e spirituale, nella quale la Natura non è più considerata un grande oggetto inanimato, ma è vista come un soggetto vivente, una vera e propria “madre” dell’umanità. Nella società del consumo sconsiderato e del dominio dell’economia, è solamente questa visione, radicale e rivoluzionaria, che prevede il riposizionamento dell’uomo nell’universo (da fulcro a singola parte tra le tante), a poter salvare la Terra dall’autodistruzione.

Animalismo

Troppo spesso si pensa all’animalismo come un qualcosa in netta contrapposizione agli interessi umani, o, altrimenti, lo si considera come un qualcosa di inutile, in quanto totalmente distaccato dalle politiche umane. Ma non è così. Come osserva Mary Midgley: “Una parte importante, e per noi accessibile, dell’universo è costituita dalle specie animali che insieme a noi popolano la terra. Gli animali non esistono solo perché noi ce ne possiamo servire, e non sono solo una minoranza oppressa nella vita dell’uomo. Essi sono la classe a cui anche noi apparteniamo; e noi non siamo che una piccola minoranza in mezzo a loro. È ragionevole pensare che dovremmo considerarli seriamente”. Più che ragionevole, oggi sembra essere necessario, “anche” per l’uomo. Da secoli l’essere umano si è arrogato il diritto di schiavizzare ed uccidere altri esseri viventi, vuoi per interesse o semplicemente per sadismo. Alla base di questi processi ci sono ovviamente correnti di pensiero, fortemente radicate nella società: partendo dalla visione biblica di dominio dell’uomo sul resto del Creato (espressa in Genesi 1, 28), passando per il materialismo cartesiano (che vede nell’animale una semplice macchina), fino ad arrivare alla società dei consumi odierna, dove è legittimo parlare di un vero e proprio massacro animale. Annualmente, infatti, tra il settore alimentare, la ricerca medica e le altre attività che richiedono l’utilizzo di animali, miliardi di esseri senzienti vengono barbaramente uccisi, dove aver vissuto, il più delle volte una vita in cattività. I danni collaterali sono altrettanto drammatici: obesità e/o malnutrizione tra gli umani, inquinamento e distruzione dell’ecosistema. La verità è che, complice soprattutto la diffusione degli allevamenti intensivi, l’animale umano ha perso l’equilibrio che lo legava alle altre specie. Ecco allora come scelte alimentari e sociali consapevoli, perlomeno tendenti al veganismo o al vegetarianismo, oltre che salvare innumerevoli vite, possono rappresentare un’arma significativa e concreta per ristabilire l’armonia perduta della Natura 
nel suo insieme.

Decrescita

L’ossimoro - o antinomia - è una figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini antitetici, questo precetto poetico è divenuto nel tempo sempre più usato nel linguaggio politico per scopi tutt’altro che artistici, è il caso delle “guerre umanitarie” o dello “sviluppo sostenibile”, proprio in quest’ultimo concetto si annida buona parte dell’ipocrisia della post-modernità.
Seppur quest’idea possa sembrare idilliaca ed ecologica, rappresenta, de facto, il legittimarsi delle logiche di sviluppo capitalista nell’era della crisi ecologica.
Infatti questo pensiero non è fondato su un’idea di tutela ambientale ma su quella del profitto che si tutela dalle accuse dei disastri ambientali Difatti moltissime corporations si vantano dei loro programmi di Green Economy, McDonald’s in primis.
Per preservare veramente il futuro di questo pianeta e dell’intera umanità, non bisogna decellerare le attuali logiche di produzione ma uscire totalmente dell’idea di sviluppo.
Decrescita non è sinonimo di “immobilità pensosa” ma di evoluzione verso una società veramente sostenibile, che si integri perfettamente con la Natura, o meglio che ne sia figlia e non despota.
Il nostro secolo necessita di ridare significato a ciò che ci circonda, in cui si punti alla qualità piuttosto che alla quantità, dove tutti siano consci di se stessi e non guidati dalle logiche del mercato. Una società formata da individui e non automi.
Un programma di decrescita, oltre a preservare l’ambiente, rappresenterebbe l’unica via reale per ridonare giustizia sociale ad una società in cui, di fatto, il progresso è stato prerogativa di pochi.

Ritorno alla Terra

Tornare alla Terra per molti potrebbe sembrare un concetto metaforico, per altri un romantico vagheggiamento, di fatto, oggi nell’era del “cibo veloce” è un dovere verso la Terra, la nostra identità ed i nostri avi.
Infatti attualmente il cibo che mangiamo, vegan o meno, sta consumando letteralmente il nostro pianeta e le attuali logiche di produzione intensiva stanno distruggendo il nostro suolo.
Oggi ritornare all’agricoltura è un’occasione imperdibile per tutti noi: dalle città, alle periferie, alle campagne esiste una soluzione consona per ogni esigenza. Ritorno alla Terra vuol dire letteralmente tornare a coltivare, a fare agricoltura. Le campagne di tutto il mondo si stanno spopolando, lasciando il posto a colture intensive che consumano il suolo e rendono la terra arida.
Il mestiere dell’agricoltore è stato nel tempo relegato ad un mondo arretrato e barbarico, un universo sicuramente da rinnegare.
Abbiamo bisogno che i giovani tornino a riprendersi il settore agricolo, impedendo che soggetti economici esterni deturpino questa nobile attività, rendendo i nostri campi delle fabbriche. 
Anche dalle aree urbane è possibile “tornare alla terra” tramite iniziative rivoluzionarie quali orti urbani, sociali e clandestini.

Spiritualità

“L’uomo bianco pensa che gli alberi, il fiume, gli animali siano tutte ‘cose’ senz’anima, di cui può disporre. Noi indiani invece pensiamo che abbiano un’anima, una vita spirituale propria densa di significato. Questa è la differenza”. Questo detto, di un vecchio indiano Lakota, mette in evidenza una delle differenze fondamentali tra le società moderne e le comunità tradizionali fiorenti soprattutto nel passato e sopravvissute in minima parte ancora oggi. Le prime fanno vanto del materialismo dilagante al loro interno, che le porta a considerare tutto ciò che non è umano un qualcosa da sfruttare e deturpare. Per le seconde, invece, la vita spirituale non può essere distaccata in alcun modo da quella pratica, anzi la seconda è inevitabilmente guidata dalla prima. La credenza in delle forze spirituali, ha permesso agli abitanti di queste civiltà di entrare in connessione con tutto ciò che le circonda, vivendo in armonia con la Natura nel suo insieme. Al contrario, poiché l’unico Dio moderno sembra essere quello del profitto, è il caos a guidare il nostro mondo sempre più globale ed omologato. L’ateismo, in quanto vero e proprio vettore del materialismo, è divenuto una delle armi preferite del capitale. Nell’universo della materia, ritrovare il nostro spirito ed il legame con tutto ciò che è vita rappresenta una delle missioni più imminenti.

Gioventù

“Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra Grande Guerra è quella spirituale, la nostra Grande Depressione è la nostra vita.” (Fight Club)
Nell’era della crisi globale, in cui tutto si può comprare tranne ciò che conta, in cui coloro che avrebbero dovuto essere esempio si sono venduti al miglior offerente, tocca a noi. Noi, giovani.
Ci hanno chiamato choosy, “bamboccioni”, forse qualcuno lo è, ma sta a noi confutare ogni loro singola parola.
Nel secolo di cui siamo abitatori coatti, in cui gli esempi sono morti o sono stati messi a tacere, è il momento di prenderci questo onere. Essere esempio.
Forse le parole di Tyler Durden sono oltremodo pessimiste, ma di una cosa siamo certi… “ne abbiamo veramente le palle piene”.

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