top of page

Ecco perché non siamo antispecisti

  • Di Lorenzo Pennacchi
  • 5 mar 2015
  • Tempo di lettura: 5 min

motherearth.jpg

Leggendo il titolo di quest’articolo, molti si potranno chiedere: “un gruppo animalista ed ecologista che non condanna lo specismo?”. Niente affatto, non intendiamo assolutamente giustificare un’ideologia violenta, che consiste essenzialmente nella pretesa di giudicare l’essere umano superiore a tutti gli altri animali, come lo specismo, anzi la condanniamo fortemente. Tuttavia, condannare un determinato sistema di idee, non vuol dire automaticamente percorrere la stessa via dei suoi più numerosi detrattori. In alcuni casi, infatti, si può decidere di intraprendere un sentiero secondario e, per alcuni versi, più irto di insidie. Come è noto, quando non si fa parte di una maggioranza, anche all’interno delle stesse minoranze, si rischia di venire fraintesi e di essere denigrati ingiustamente. Per fare un paragone storico, da un punto di vista di numeri, la nostra è un po’ la situazione di Malcolm X e dei suoi sostenitori, se paragonati al molto più corposo movimento di protesta capitanato da Martin Luther King (una vera e propria maggioranza all’interno di una minoranza). Evidentemente, sia King che Malcom X si battevano contro il razzismo, ma in maniera differente. Se la discordanza principale tra i due era di ordine metodologico (l’accettabilità o meno della violenza per il conseguimento di un fine), noi non ci sentiamo antispecisti non tanto per questo motivo, quanto piuttosto per una questione ideologica, nel senso più ampio del termine. Proviamo a spiegarci meglio.

Seppur l’antispecismo si presenti in forme diverse e almeno in un primo momento contraddittorie (come la sua versione politica paragonata a quella debole), possiamo evidenziare al suo interno diversi punti in comune e conseguenziali:

1) la già citata critica allo specismo;

2) la lotta per la liberazione animale;

3) il riconoscimento dello status di persona morale verso gli animali non umani;

4) l’attribuzione agli animali di diritti come mezzo per ottenere e preservare questo status.

Ora, se paragonassimo questo schema ad altre lotte di liberazione del passato recente potremmo evidenziare delle somiglianze incredibili. Quella del movimento antirazzista, infatti, dovrebbe essere strutturata più o meno così:

1) la critica al razzismo;

2) la lotta per la liberazione degli schiavi;

3) il riconoscimento dello status di persona morale verso gli schiavi;

4) l’attribuzione agli schiavi di diritti come mezzo per ottenere e preservare questo status.

In effetti, i due schemi appaiono come identici.

E, allora, cosa c’è di diverso?

La diversità delle situazione e delle lotte sta nel fatto che, come sostengono anche diversi fautori del movimento antispecista, a differenza del secondo caso (quello della schiavitù), dove sono gli schiavi stessi a lottare per il riconoscimento dei propri diritti, non sono gli animali a rivendicare un diverso status. È chiaro che, malgrado qualcuno abbia avuto il coraggio di affermare anche il contrario, gli animali non si liberano da soli. In questo senso, gli attivisti per la liberazione animale stanno combattendo una battaglia totalmente per l’altro, ovvero l’animale non umano. Non a caso, Soltanto per loro è il titolo di uno dei primi libri di Leonardo Caffo, precursore della versione antispecista più diffusa oggi in Italia, ovvero quella debole, definita così non certo per i contenuti, che sono innegabilmente molto forti e validi, ma per la volontà di incentrare la discussione sugli animali non umani, in rapporto con l’animale umano.

Il modello di questa rivendicazione è prettamente liberale, in quanto incentrata sul riconoscimento dei diritti individuali agli animali non umani, così come è accaduto per gli schiavi e per le donne negli scorsi decenni.

Da qui le nostre perplessità.

La nostra, infatti, è una prospettiva eco-centrica, organicistica e olistica. Al centro del nostro sistema non vi è l’animale, né tantomeno l’essere umano, ma la Terra. Il Pianeta rappresenta una Totalità composta da tante singole parti, da preservare nella sua interezza. Quindi, al contrario delle rivendicazioni liberali in generale, noi crediamo non tanto di dover lottare per degli individui (umani e non), quanto per un Tutto, ovvero per la Natura nel suo insieme.

Così, troviamo l’obiettivo antispecista strettamente limitato, nel momento in cui concentra i suoi sforzi soltanto nel riconoscimento di status e diritti agli animali non umani, dimenticandosi degli alberi, dei fiumi e del resto del Pianeta.

Inoltre, pur condannando lo specismo, il razzismo ed il sessismo allo stesso modo (tutti e tre concepiti come ideologie violente di prevaricazione del più forte sul debole), non consideriamo la situazione degli animali non umani paragonabile a quella degli schiavi e delle donne, proprio per il fatto che essi non possono liberarsi da soli. Di fatto, sono stati sottomessi dagli uomini, ma non possono emanciparsi se non attraverso l’azione umana.

Tornando al discorso dei diritti e del riconoscimento di uno status morale, crediamo che questi siano obiettivi di chiara derivazione antropocentrica e per questo illusori per una vera liberazione, dove l’animale dovrebbe essere rispettato per quello che è e non per quello che potrebbe essere. La liberazione dovrebbe essere concepita più che come un’integrazione (degli animali nel mondo umano) come un’interazione tra le specie e tutte le forme di vita. In questo senso, “liberare” deve significare, prima di tutto, “ristabilire” un ordine organico, perduto nelle società post-moderne, e non elevare semplicemente lo status di alcune specie.

L’antispecismo, così, sarebbe un surrogato di una mentalità, quella riduzionista, che caratterizza la modernità, colpevole di averci fatto perdere una visione di insieme, di concepirci, lo ripetiamo, come parte di un Tutto. In un certo senso, una società antispecista non farebbe altro che limitare la presunta superiorità degli esseri umani, tutelando unicamente gli animali non umani, ma non sconfessandola affatto, nei confronti del resto del Vivente. L’antropocentrismo, di fatto, verrebbe limitato, ma non per questo sconfitto.

Più che consci, delle controversie teoriche passate tra animalisti (ancora non esisteva il movimento antispecista) ed ecologisti, che hanno portato a rotture pratiche non indifferenti, indebolendo sia una che l’altra sponda, ci auguriamo che questo articolo venga letto e compreso non come un tentativo di denigrare l’altro, ma un modo per instaurare una discussione costruttiva attorno a questi temi, a volte troppo spesso sorvolati da gran parte degli attivisti.

Da giovani siamo convinti che l’azione non possa prescindere dal pensiero e, il più delle volte, interrogarsi su argomenti ingenuamente considerati scontati, aiuta ad agire con più convinzione.

Pur sottoscrivendo quello che si è appena detto, da un punto di vista pratico concepiamo la nostra lotta perfettamente compatibile con molti obiettivi antispecisti, almeno nel breve periodo. Pensarla diversamente e confrontarsi su alcune questioni, non vuol dire automaticamente essere incompatibili del tutto, così come ci insegnano gli ultimi anni dei due personaggi citati all’inizio di questo articolo.

In conclusione, lasciamo il nostro personale schemino a quattro punti, da confrontare con i due illustrati precedentemente:

1) la critica all’antropocentrismo;

2) la lotta per la preservazione della Natura nel suo insieme;

3) il riconoscimento di ogni forma di Vita come parte fondante di un Tutto;

4) il rispetto di ogni forma di Vita nella sua particolarità, in vista di un bene comune.


 
 
 

Commentaires


Post Recenti

Archivio

Seguici

  • Facebook Basic Square
bottom of page