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Origine della disuguaglianza

Titolo completo: Discorso sull’origine dei fondamenti e della disuguaglianza tra gli uomini

Autore: Jean Jacques Rousseau

Anno di pubblicazione (originale): 1754

Casa editrice: Universale economica Feltrinelli

Pagine: 107

Qual è l’origine della disuguaglianza tra gli uomini; e questa è autorizzata dalla ragione?

A questo quesito, proposto dall’Accademia di Digione, Rousseau vuole rispondere in questo breve testo. Qualche anno prima, nel 1750, il pensatore ginevrino aveva già scritto, oltretutto con grande successo, per l’Accademia il suo Primo Discorso, nel quale condannava le scienze e le arti, considerandole come il perfetto strumento di controllo in mano alla classe dominante, tanto sostenuta dai vari philosophes, che così facendo “stendeva ghirlande di fiori sulle catene di ferro”. Da questo nucleo centrale, Rousseau iniziava il suo attacco a 360° verso una società, quella del suo tempo, fondata sull’apparenza, sul lusso e sull’ingiustizia, che aveva perso qualsiasi contatto con la natura e la virtù. Lo stile era enfatico, senza compromessi, in una parola: irriverente.

In questo Secondo Discorso, invece, seppur il bersaglio polemico resta sempre lo stesso (ovvero la cosiddetta “civiltà”), la tesi si fa più articolata e propositiva. L’obiettivo primario sta nella contrapposizione tra la società naturale e la società civile o, ancor più in generale, tra natura e cultura, teso a sconfessare le teorie giusnaturalistiche del secolo precedente (dei vari Grozio, Hobbes, Pufendorf, Locke), caratterizzate da un duplice errore: utilizzare lo stato di natura come un pretesto per giustificare l’ineguaglianza nella civiltà; “parlare dello stato selvaggio, ma dipingere l’uomo civile”, attribuendo al “primitivo” concezioni a lui totalmente sconosciute (diritti, doveri, leggi, patti), falsandone qualunque possibile analisi. Di fatto, si tratta di un excursus meta-storico, che mostra il passaggio dalla bontà originaria, alla degenerazione moderna: una storia prettamente negativa.

Dopo l’enfatica dedica alla repubblica di Ginevra (la patria tanto lodata e ammirata allora, quanto odiata e attaccata poi), nella Premessa, Rousseau delinea il suo obiettivo: «Mi sembra che la più utile e la meno progredita di tutte le conoscenza umane sia la conoscenza dell’uomo […] come si può conoscere l’origine della disuguaglianza fra gli uomini se non si comincia col conoscere gli uomini stessi?». È necessario, perciò, risalire alla natura originaria dell’essere umano, per capire le cause del suo declino.

La prima parte consiste proprio nella descrizione dell’uomo primitivo. Egli era buono, viveva bene, in armonia con l’ambiente e gli altri animali. Da quest’ultimi, l’essere umano si distingueva per la sua capacità di perfezionarsi nel corso del tempo, un aspetto positivo all’inizio, ma che si rivelerà la causa di tutti i suoi mali. A differenza di molti suoi contemporanei, infatti, per Rousseau ciò che caratterizzava l’animale umano rispetto alle altre specie non era la ragione, ma la libertà. Tuttavia, a sancire l’uscita da questo stato idilliaco e mitizzato, non saranno le facoltà umane, ma un fortuito caso. Le cose, di fatto, sarebbero potute anche andare diversamente.

Ma così non è stato e l’uomo, grazie alla scoperta del fuoco e dello sviluppo delle prime “arti” (la caccia e la pesca), ha sviluppato il linguaggio e la capacità di “vedere” l’altro. La situazione è cambiata ancora con l’avvento di una “prima rivoluzione”, che sancì la legittimazione della famiglia e della comunità, la nascita delle feste, lo sviluppo di una prima forma di proprietà e l’avvento delle comodità (dalle conseguenze nefaste). In questa forma di società “naturale” o “cominciata” viene rintracciato da Rousseau il periodo ideale: «più ci si riflette, più si trova che questo stato era il meno soggetto a rivoluzioni, il migliore per l’uomo, il quale non ne deve essere uscito, che per qualche caso funesto il quale, per il bene comune, non sarebbe mai dovuto accadere».

La seconda parte è la descrizione di questo percorso di decadenza che ha portato, attraverso la divisione delle terre e dello sviluppo delle tecniche (metallurgiche e agricole), alla nascita del concetto moderno di “proprietà” e, di conseguenza, all’approdo alla società civile: «Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile». Una società competitiva, innaturale, ingiusta, che corrompe e modifica la natura umana, rendendola ambiziosa e schiava dell’apparenza. È per questo che Rousseau conclude il suo Discorso da dove aveva iniziato: criticando i giusnaturalisti, i quali, mediante il patto sociale, avevano dato vita ad una società di questo tipo, disumana ed ostile alla natura.

Questo breve testo rappresenta la prima vera e propria pietra miliare di un pensatore incredibilmente dissidente, enfatico, a tratti contraddittorio, intento a difendere tutto ciò che è naturale dalla contaminazione della civiltà: “La natura ha fatto l'uomo felice e buono, ma la società lo deprava e lo rende miserabile", sosterrà chiaramente in uno dei suoi ultimi scritti.

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